
L'INTERVISTA. Di Francesco a 360°: "FRATTESI il mio erede, venga a Lecce. Intollerabile il genocidio di GAZA"
Intervista a tutto campo e anche fuori dal campo per il tecnico del Lecce che si è confrontato con i cronisti di "Repubblica"
BRESSANONE - Parole proprio da ombrellone, intervista da fine settimana al mare, leggera e allo stesso tempo sostanziosa, ricca di buoni contenuti.
Parla Eusebio Di Francesco, il tecnico del Lecce che ha affidato i suoi pensieri in libertà alla redazione di “Repubblica”, con questa intervista a 360°, su tanti temi. Eccola.
Occhiali celebri spariti - “Mi sono operato agli occhi. Porto gli occhiali solo per sicurezza quando guido la sera o quando leggo. Ultimo libro letto ‘Pensieri lenti e veloci’ di Kahneman”.
Anche lo psicologo nello staff - “Mi ha aiutato a superare le retrocessioni, avvenute sempre all'ultima giornata. Sono botte mentali su botte… Ho fatto un percorso con una società di comunicazione, per lavorare sull'assorbimento del senso della sconfitta e sui messaggi da trasmettere ai giocatori”.
Camarda un “crack”? - “Vedremo se è pronto. Di sicuro ha molta fame, anche troppa, si dispera ogni gol sbagliato, ma ha l'età in cui deve sbagliare”.
Corvino - “Parliamo ore e ore. Ogni volta mi parla di quadri, di piante, di ulivi. Poi anche di calcio”.
Di Francesco e la “sua” Roma da calciatore e tecnico - “Sono legato a tutti, primo a Montella. Ma la squadra del mio cuore è sempre il Pescara…”.
Una esperienza in panchina all'estero? - “Ora non ci penso, ho troppi nipotini. Intanto guardo le serie tv in lingua originale per capire l'inglese”.
Un passato coi genitori tra un albergo e un lido - “I nuovi gestori non usano più il mio trattorino con cui spianavo la sabbia, ma ho sullo sfondo del cellulare l'immagine mia con mio nipote Riccardo che non c'è più mentre lo facevamo felici. Con il rastrello e il trattorino ero maniacale. Abbiamo venduto tutto perché i miei si sono fatti anziani, ma ho diritto a vita a un posto in 1° fila per le vacanze. Sono tutti ricordi indelebili. Sparecchiavo ai tavoli, rastrellavo la sabbia. Mio padre a ogni brutto voto mi faceva trovare pronta la divisa del cameriere e mi ricordava: ‘se vuoi fare il calciatore vattene lontano e cresci da solo, se resti qui a giocare a calcio sappi che nelle altre ore lavorerai’. Insegnamenti che mi hanno dato tanto”.
Il telefonino: regole per i calciatori - “A cena pretendo condivisione. I cellulari devono stare in tasca e si deve chiacchierare, ridere, parlare dell'allenamento. Troppe volte passo nelle hall degli alberghi, in tutte le squadre in cui sono stato, e nessuno mi guarda in faccia o mi saluta. Tutti con la testa piegata sul telefonino. Non va bene”.
Eusebio, come il grande Eusebio - “Avevamo una foto insieme, l'orgoglio di mio padre che ci teneva, ma l'ho persa cambiando cellulari. Da allora le cose belle le faccio stampare, la tecnologia con me funziona poco… Con Mangone ai tempi della Roma eravamo sulla sua Porsche, dimenticò il ‘TelePass’ a casa e sfondammo la sbarra al casello…”.
Il mondo di oggi - “Cattivo, con tanta cattiveria in giro e per le strade. I ragazzi si accoltellano, peggio sono pure quelli che li vedono e filmano col cellulare invece di intervenire. Io visitai il Kosovo con Tommasi dopo la guerra di liberazione. Mamma che immagini… Ora da padre e da nonno non accetto quel che sta accadendo ai bambini di Gaza. E' intollerabile questo massacro quotidiano”.
Chi è il centrocampista tra le linee di oggi, il Di Francesco moderno? - “Frattesi, certamente. E se fosse indeciso tra l'Inter o partire la soluzione è Lecce. Venga con noi che nel Salento si sta bene”.
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