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DI CHIARA, l'uomo-gol Serie A: "lunedì tutti allo stadio"

I ricordi del numero 11 giallorosso in una intervista

LECCE - Dal 1983 al 1986 ha scritto il suo nome nella storia giallorossa: 91 presenze e 13 reti, non male per uno come lui che doveva soprattutto difendere, ma che è stato tra i primi italiani del calcio moderno ad interpretare l'evoluzione del ruolo di ala difensiva e offensiva, a trasformare l'azione di rottura e la vecchia concezione di "terzinaccio" in uomo in più, in elemento dirompente anche nell'azione di ripartenza.

Alberto Di Chiara ha scritto il suo nome nel tabellino dei marcatori di una partita che è rimasta scolpita come le tavole dei comandamenti nella pietra miliare dei 100 anni e più di storia del Lecce. A Monza il gol della Serie A porta la sua firma, una firma che resterà per sempre indelebile. L'abbiamo intervistato al telefono, già pronto a tornare nel Salento per la partita del trentennale lunedì sera al "Via del Mare", tra il Lecce del 1985 e una rappresentativa "All Stars" guidata da Chevanton.

L'evento - "Si tratta di una partita storica, così come storica fu la nostra promozione in A. Sarà bello rivedere amici e compagni di una volta. A Lecce lego grandi soddisfazioni, vissute con mio fratello Stefano. Dopo la tragedia di Lorusso e Pezzella che ci ha segnato per sempre si è creato un sodalizio incredibile, un patto che ci ha permesso di superare ogni difficoltà e approdare in Serie A, realizzando un sogno. Ritorno in uno stadio che è stato costruito per noi; posso dire che il 1° mattone del nuovo impianto l'abbiamo messo noi sul campo, vincendo il campionato".

L'arrivo a Lecce - "Allora si usava andare a farsi le ossa in provincia e così dopo l'esordio giovanissimo in Serie A lanciato dal grande Niels Liedhom andai prima alla Reggiana e poi al Lecce. A Reggio fu una parentesi, mentre nel Salento, grazie anche alla presenza di mio fratello, mi lanciai verso il grande calcio" (tra l'altro Di Chiara è stato il 1° giocatore della storia del Parma ad esordire in Nazionale con la maglia azzurra).

Fascetti - "Lui è arrivato a Lecce con l'intenzione di far bene ed è riuscito a ricavare il massimo da un gruppo importante. Era un tecnico duro, spesso aggrediva per non essere aggredito. Era un altro calcio, fatto di rispetto dei ruoli e di doveri quasi sacri. E noi eravamo un gruppo di professionisti, anche perchè lui era davvero uno che ti faceva rigare dritto".

Il momento - "Facile dire il gol con il Monza, che ci ha permesso la matematica certezza di andare in A. Ma ben più decisivo fu quello in casa con il Cagliari (VIDEO SOTTO), su cross di Vanoli, con la corsa sotto la Nord in delirio abbracciato a mio fratello. Il traguardo della A in quel momento ci sembrò a pochi passi".

Iurlano - "Per me è il simbolo di un calcio che non c'è più, ora che presunti imprenditori o avventurieri fanno fallire le squadre di calcio al ritmo di 10-20 all'anno. Lui era un sanguigno, presente in maniera ossessiva, entrava negli spogliatoi a caricarci sempre, a rimproverarci come un padre o a festeggiare con noi quando si vinceva. Ho un ricordo commosso di una grandissima persona".

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